Secondo i commissari europei Kadri Simson (Energia), e Nicolas Schmit (Lavoro), “se vuole raggiungere i suoi obiettivi energetici, l’Unione europea dovrà creare 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro di qualità nel settore delle energie rinnovabili”. In un editoriale pubblicato sul giornale economico finanziario francese La Tribune i due commissari ricordano che il tasso di posti di lavoro vacanti nel campo della produzione di energia pulita è raddoppiato tra il 2019 e il 2023, provocando una significativa carenza di competenze.
Ma qual è il ruolo dell’Italia in questa sfida cruciale del percorso di transizione? Proviamo a rispondere con un ragionamento piuttosto semplice. L’Italia rappresenta oggi il 10,8% del Pil europeo e il 12,8% degli occupati. Immaginando che il nostro Paese faccia la sua parte in proporzione al peso rispettivo nell’economia comunitaria, l’Italia dovrebbe impegnarsi nella generazione di circa 350mila nuovi posti di lavoro nel settore della catena del valore delle energie rinnovabili.
Considerato che per conseguire questo obiettivo occorrerebbe realizzare nuovo Pil nel comparto per circa 29 miliardi di euro, sarebbero necessari all’incirca 16 miliardi di investimenti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Pochi? Molti? Ovviamente dipende dal periodo della spesa, ma a ben guardare, i documenti ufficiali del Pnrr italiano contengono già la risposta. Infatti, il piano di investimenti della missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologia) prevede un impegno di capitali pubblici nel settore per quasi 40 miliardi di euro entro la fine del 2026. A questi andrebbero aggiunti almeno altrettanti capitali privati, se si tiene conto dei vincoli comunitari sulle intensità massime di aiuto.
Pertanto, affinché il nostro Paese dia il suo contributo agli obiettivi ricordati da Simson e Schmit basterebbe che riuscissimo ad effettuare già solo un quarto della spesa prevista dall’ambizioso piano nazionale.
Gianluca Calvosa, managing director di OpenEconomics