di Pasquale Lucio Scandizzo e Giovanni Tria
Alla luce delle crescenti preoccupazioni sulla rigidità delle vecchie normative, la Commissione Europea sta cercando di reinventare il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) per renderlo più in sintonia con le nuove realtà economiche emerse dalla grande crisi finanziaria e dalla pandemia. La prospettiva di regole più flessibili e condivise rappresenta un tentativo concreto di promuovere una maggiore armonia e cooperazione tra gli stati membri, consentendo loro di rispondere in modo più efficace alle sfide economiche emergenti.
Questo percorso di cambiamento non è esente da difficoltà. Al centro della strategia proposta dalla Commissione sta l’intenzione di elaborare attraverso trattative con i singoli governi, piani per il rientro del debito pubblico e la regolamentazione della spesa. Questo approccio, tuttavia, rischia di suscitare tensioni e dissonanze, attribuendo agli stati membri l’onere del rispetto delle regole, mentre conferisce alla Commissione la discrezionalità nel decidere se e come consentirne l’adattamento alle diverse situazioni. Più in generale, mentre l’UE cerca di delineare una via innovativa per il futuro, essa si trova ad affrontare il difficile dilemma di trovare un equilibrio tra l’imposizione di regole stringenti e l’implementazione di strumenti flessibili, che incentivino una crescita economica duratura e sostenibile. In questo momento cruciale di trasformazione della economia globale, l’aspirazione è sviluppare normative che non solo rettifichino i difetti delle strategie precedenti, ma che siano anche capaci di garantire un avvenire economicamente fiorente per l’Unione Europea.
Allo stesso tempo, il tentativo di stabilire nuove regole più conformi ai tempi si confronta con il dilemma della sostenibilità della crescita. Questa sostenibilità si trova in bilico, minacciata sia da spese eccessive, in particolare dove esse sono alimentate da indebitamenti elevati o crescenti, sia da un livello di investimenti che risulta insufficiente per promuovere una crescita robusta e duratura. Da un lato, spese pubbliche eccessive e persistenti deficit possono generare una spirale di debito insostenibile, con implicazioni negative per la stabilità finanziaria e la fiducia degli investitori, poiché un alto livello di debito pubblico può anche limitare la capacità dei governi di reagire a shock economici futuri, riducendo così la loro flessibilità finanziaria e potenzialmente portando a una crescita più lenta nel lungo termine. Dall’altro lato, investimenti insufficienti, specialmente in settori chiave come infrastrutture, nuove tecnologie, educazione e innovazione, sono un ostacolo sempre maggiore alla crescita economica, compromettendo la capacità delle economie europee di adattarsi e prosperare in un mondo in rapida evoluzione, caratterizzato da progressi tecnologici rapidi e cambiamenti demografici significativi.
In questo scenario, l’implementazione di una strategia che distingua tra investimenti e spese correnti, nella direzione indicata dal principio della cosiddetta “golden rule” appare come un mezzo valido per affrontare questo dilemma. Secondo questa regola, gli investimenti pubblici che hanno il potenziale di aumentare la capacità produttiva dell’economia, e quindi di promuovere la crescita nel lungo termine, dovrebbero essere trattati separatamente dalle spese correnti, assegnando loro un peso inferiore all’unità nel computo delle grandezze di bilancio soggette ai vincoli del PSC.
La “golden rule”, o regola aurea, è una dottrina centrale nel campo della finanza pubblica e largamente riconosciuta per guidare la gestione dei deficit pubblici da molti anni, mirando a incarnare il principio di “pay as you go ” in una dimensione temporale estesa, soprattutto quando gli esborsi di oggi prevedono benefici a lungo termine. Questo principio avalla l’idea di coprire le spese, che equivalgono agli investimenti pubblici netti, anche attraverso i deficit pubblici, perseguendo una forma di equità fra le diverse generazioni. Tali investimenti, infatti, contribuiscono ad accrescere il patrimonio di capitale pubblico e/o sociale, creando un impatto positivo per le generazioni a venire. È quindi logico e giusto che le generazioni future partecipino al finanziamento di tali iniziative attraverso il servizio del debito. Un tale approccio permette inoltre una maggiore flessibilità nel finanziamento degli investimenti essenziali senza compromettere la stabilità finanziaria. Esso, infatti, bilancia la necessità di mantenere la disciplina fiscale con la comprensione che gli investimenti pubblici strategici sono vitali per la crescita futura. Per garantire il successo di questa strategia, è cruciale che essa venga accompagnata da meccanismi di governance forti e trasparenti, per assicurare che gli investimenti siano diretti verso progetti ad alto impatto e che i fondi siano spesi in modo efficace ed efficiente. In questo modo, l’Italia e l’Europa potrebbero affrontare il dilemma della sostenibilità della crescita in modo equilibrato e sostenibile.
La regola aurea rappresenta un criterio fondamentale nella gestione delle finanze pubbliche, anche quando non viene seguita o non è abbracciata esplicitamente. Essa autorizza i governi a sostenere gli investimenti pubblici netti mediante disavanzi pubblici, a patto che il bilancio corrente rimanga equilibrato.
Il principio non deve essere interpretato come una prescrizione precisa, ma solo come una indicazione di massima che prende le mosse dalla premessa che gli investimenti pubblici netti conferiscono vantaggi alle generazioni a venire, le quali, di conseguenza, dovrebbero partecipare al loro finanziamento attraverso il servizio del debito. In questa prospettiva, la regola aurea incorpora un criterio relativo al debito che, a seconda del peso fissato per il contributo delle generazioni successive, fissa un tetto sia per il rapporto debito pubblico/PIL, sia per il rapporto deficit fiscale/PIL, imponendo che la crescita dell’ammontare del debito pubblico non superi la crescita economica.
In diversi paesi europei, per esempio il Regno Unito e la Germania, per lunghi periodi di tempo, lo stock di capitale pubblico ha superato lo stock di debito, ma ciò non è più vero da alcuni anni a questa parte. Anche i paesi apparentemente virtuosi per le dimensioni ridotte del debito sembrano quindi compensare questa virtù con uno stock insufficiente di capitale pubblico. Per l’Unione Europea nel suo complesso, si profila lo stesso pericolo, poiché il budget della Commissione ha finora finanziato prevalentemente spesa corrente o investimenti nei singoli stati membri, mentre ha mancato di dare inizio a uno stock consistente di capitale pubblico federale.
Nel quadro attuale, l’Unione Europea è chiamata a introdurre una riforma strategica che promuova investimenti in grado di generare crescita a lungo termine e facilitare una transizione ecologica, rivolgendo una particolare attenzione al “debito climatico”. In questa prospettiva, il principio della regola aurea può essere reso praticamente operativo adottando un sistema di pesi che differenzi la spesa per investimenti dalla spesa corrente, nel calcolo della spesa pubblica complessiva utilizzata come parametro di riferimento per l’analisi delle politiche fiscali degli Stati membri dell’UE. In altri termini, si dovrebbe assegnare un peso inferiore all’unità agli investimenti pubblici nel calcolo dell’aggregato di spesa. Inoltre, si potrebbe considerare l’implementazione di pesi variabili per specifiche categorie di investimenti, permettendo una rappresentazione più accurata delle priorità stabilite dall’UE.
Questo sistema, che andrebbe studiato e perfezionato tenendo conto delle molte variabili in gioco, potrebbe rappresentare una svolta nella politica fiscale dell’Unione Europea. Essa sarebbe anzitutto una misura di prevenzione della caduta degli investimenti pubblici. Questi, essendo meno legati a diritti consolidati e a lobbies organizzate, sono spesso i primi ad essere colpiti durante i periodi di consolidamento fiscale. L’adozione di un sistema di pesi differenziati può aiutare a proteggere la insostituibile funzione dello stato nella offerta di capitale pubblico, assicurando che essa non venga sacrificata in nome dell’equilibrio di bilancio. La protezione della capacità di fornire e manutenere il capitale pubblico è d’altra parte cruciale per promuovere la crescita e la stabilità economica a lungo termine, anche attivando e promuovendo sinergie con i capitali privati. Un sistema di pesi differenziati può garantire una dose critica di investimenti pubblici, anche in tempi economicamente difficili, promuovendo così una crescita economica duratura.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, gli investimenti pubblici possono essere uno strumento efficace di politica anticiclica con moltiplicatori del reddito e dell’occupazione che tendono ad essere maggiori di quelli della spesa corrente. In periodi di rallentamento dell’economia e di crescente disoccupazione, infatti, essi possono stimolare sia la domanda, attraverso la spesa in conto capitale e il cosiddetto effetto annuncio, che l’offerta attraverso il loro impatto sulla struttura produttiva. Pur essendo quest’ultimo differito, esso influenza le aspettative degli operatori economici e può anche giovarsi dell’accelerazione di investimenti già finanziati.
Considerato che la politica anticiclica è la grande assente nella proposta di riforma della Commissione sulla quale si discute oggi, l’adozione di un sistema di pesi differenziati per la spesa per investimenti, comuni per tutti i paesi membri, correggerebbe in parte questa mancanza dando alla Commissione stessa , e al Consiglio Europeo, uno strumento di politica fiscale comunitaria consentendo di variare questi pesi sia per far fronte al mutare delle condizioni economiche sia per rispondere a priorità fissate a livello europeo.
Un sistema di pesi differenziati potrebbe spingere i paesi a convogliare risorse in settori chiave come infrastrutture, ambiente e innovazione, salute e difesa, agendo come un catalizzatore per una crescita economica più robusta e sostenibile. L’adozione di un sistema di pesi differenziati, ma comuni per tutti i paesi, permette quindi di offrire una maggiore flessibilità politica sia ai singoli governi, che conserverebbero la loro sovranità nell’uso del maggior spazio fiscale concesso per investimenti, sia alla governance europea permettendo di sollecitare le strategie di spesa pubblica dei paesi membri in risposta a dinamiche economiche mutevoli, invece di attenersi rigidamente a obiettivi di bilancio predefiniti. Inoltre, il sistema offrirebbe un incentivo concreto a un miglioramento significativo della qualità della spesa e dell’efficienza allocativa, incoraggiando gli stati membri a investire in progetti con benefici a lungo termine, piuttosto che concentrarsi su spese correnti meno produttive. Dal punto di vista finanziario, la maggiore libertà di spendere per investimenti faciliterebbe l’accumulo di un “debito buono”, caratterizzato da impieghi produttivi capaci di generare rendimenti nel medio e lungo termine, a differenza del debito associato alle spese correnti.
Infine, un sistema di pesi comune per tutti i paesi potrebbe essere un punto di partenza efficace per un coordinamento delle politiche di investimento nazionali, promuovendo anche un finanziamento privilegiato di investimenti transfrontalieri di tipo federale e evitando sovrapposizioni, grazie a una struttura concordata a livello europeo. In attesa di una capacità fiscale più centralizzata da parte della Commissione Europea, questo sistema consentirebbe almeno il coordinamento e indirizzo degli investimenti pubblici di interesse europeo attraverso le politiche fiscali dei singoli paesi, pur preservando la loro sovranità. I singoli paesi sarebbero infatti liberi di usufruire o meno dei maggiori spazi fiscali consentiti per gli investimenti di interesse europeo. In tal modo la riforma del PSC inizierebbe a configurare una politica fiscale europea e non rimarrebbe ancorata solo al controllo fiscale dei singoli paesi.